"Nessun esperimento è mai completamente fallito: può sempre servire da esempio negativo."
A. Bloch
Era una brutta giornata, come tutte quelle che accompagnavano la vita di Tom, tutto attorno a lui gli faceva più schifo del solito, nonostante fosse seduto davanti una delle piazze più belle del mondo, o cosi era definita, piazza Malostranskè.
Questo Tom lo sapeva, ma non gli interessava. Dentro di se sentiva solo spazzatura e tutto il pattume che sembrava possederlo, lo circondava accompagnandolo nella sua vita, da sempre.
Un tempo aveva amato Praga, era la che aveva deciso di stabilirsi quando la sua vita sembrava ancora essere accompagnata da una piccola stella luminosa che lui chiamava Sara, aveva amato quella stella e aveva amato lei.
Ogni volta che Tom si perdeva nei ricordi sprofondava nell'oblio, non che il pensiero della persona amata fosse doloroso, il livello di apatia era talmente alto da averlo consumato dentro, piuttosto per l'orribile sensazione di riuscire ancora a ricordare.
Aveva annullato se stesso pur di non provare più sentimenti e c'era riuscito, distaccandosi completamente da ogni attrazione empatica, sopravvivendo come gli era possibile nutrendosi degli scarti che trovava nei cestini pubblici, aspettando l'assoluto giorno della sua dipartita sulle panchine del parco, pensando alla morte non come un traguardo ma come una vittoria.
Tom non voleva morire ma non voleva neanche vivere, semplicemente non voleva niente. Non gli interessava prendere parte alla vita al punto da togliersela e allo stesso modo, prendere parte alla morte regalandogli un anima in più da accogliere sotto il mantello nero, Tom non aveva chiesto di essere messo al mondo e questa era una delle poche cose che ancora lo faceva incazzare, l'impotenza decisionale sulla sua nascita.
Riconosceva di essere al mondo, inserito in una società di cui non faceva parte, non ricopriva nessuna carica, non svolgeva alcun ruolo, si limitava a vagare per Malá Strana come un ectoplasma e ci riusciva talmente bene che nessuno si accorgeva di lui.
Ogni volta che Tom si perdeva nei ricordi sprofondava nell'oblio, non che il pensiero della persona amata fosse doloroso, il livello di apatia era talmente alto da averlo consumato dentro, piuttosto per l'orribile sensazione di riuscire ancora a ricordare.
Aveva annullato se stesso pur di non provare più sentimenti e c'era riuscito, distaccandosi completamente da ogni attrazione empatica, sopravvivendo come gli era possibile nutrendosi degli scarti che trovava nei cestini pubblici, aspettando l'assoluto giorno della sua dipartita sulle panchine del parco, pensando alla morte non come un traguardo ma come una vittoria.
Tom non voleva morire ma non voleva neanche vivere, semplicemente non voleva niente. Non gli interessava prendere parte alla vita al punto da togliersela e allo stesso modo, prendere parte alla morte regalandogli un anima in più da accogliere sotto il mantello nero, Tom non aveva chiesto di essere messo al mondo e questa era una delle poche cose che ancora lo faceva incazzare, l'impotenza decisionale sulla sua nascita.
Riconosceva di essere al mondo, inserito in una società di cui non faceva parte, non ricopriva nessuna carica, non svolgeva alcun ruolo, si limitava a vagare per Malá Strana come un ectoplasma e ci riusciva talmente bene che nessuno si accorgeva di lui.
Dato si che era completamente invisibile agli occhi degli altri, fu facile per lui distaccarsi da ogni piacere o dispiacere, non provava ira, ne freddo, non sentiva il calore del sole sulla pelle tanto meno la fame, era il nulla. Per quanto vivesse in un posto popolato prevalentemente da turisti l'abbondanza di facce nuove non gli interessava, cosi come a suo tempo non gli erano interessati gli abitanti del luogo.
Il fatto di non sentire più niente lo annoiava e la noia stessa era detestabile, il disgusto che lo attanagliava era ormai per se stesso, quasi provava invidia quando si limitava a odiare solo quello che lo circondava, le famiglie felici che immortalavano un ricordo sotto la colonna della peste dove si erige la spettacolare chiesa di san Nicola, gli facevano schifo quelle espressioni del cazzo impresse su una macchina digitale, cosi come a suo tempo gli avevano fatto schifo impresse sulla cellulosa.
Tom un tempo era un poeta, non perché mettesse in rima sonetti con aspettative da pubblico pagante, decantava la morte e le atroci sofferenze, il dramma lo appassionava da sempre ma nessuno vuole sentire di presagi oscuri, falci giustiziere o di ultimi rantoli persi buio, finché anche quello gli aveva fatto schifo, un enorme perdita di tempo, non che potesse giudicare il tempo prezioso, quanto che le sue stesse parole non fossero destinate a quel pubblico e a nessuno in generale.
Solo quella piccola stella luminosa era l'unica che pareva si ritrovasse nelle parole di Tom. L'aveva conosciuta durante una serata al café degli artisti, il piccolo circolo letterario frequentato da lettori della domenica e nostalgici, la sua fortuna era stata incontrarla prima che anche quel posto iniziasse a stomacarlo, passava di là tutti i giorni prendeva un infuso e restava finché non era il turno di Tom, si perdeva nelle sue parole nuotando negli abissi della psiche come un pesce, si immergeva nelle poesie, il dramma vomitato sul palco ricolmo di sofferenza e odio era per lei puro nutrimento.
Il fatto di non sentire più niente lo annoiava e la noia stessa era detestabile, il disgusto che lo attanagliava era ormai per se stesso, quasi provava invidia quando si limitava a odiare solo quello che lo circondava, le famiglie felici che immortalavano un ricordo sotto la colonna della peste dove si erige la spettacolare chiesa di san Nicola, gli facevano schifo quelle espressioni del cazzo impresse su una macchina digitale, cosi come a suo tempo gli avevano fatto schifo impresse sulla cellulosa.
Tom un tempo era un poeta, non perché mettesse in rima sonetti con aspettative da pubblico pagante, decantava la morte e le atroci sofferenze, il dramma lo appassionava da sempre ma nessuno vuole sentire di presagi oscuri, falci giustiziere o di ultimi rantoli persi buio, finché anche quello gli aveva fatto schifo, un enorme perdita di tempo, non che potesse giudicare il tempo prezioso, quanto che le sue stesse parole non fossero destinate a quel pubblico e a nessuno in generale.
Solo quella piccola stella luminosa era l'unica che pareva si ritrovasse nelle parole di Tom. L'aveva conosciuta durante una serata al café degli artisti, il piccolo circolo letterario frequentato da lettori della domenica e nostalgici, la sua fortuna era stata incontrarla prima che anche quel posto iniziasse a stomacarlo, passava di là tutti i giorni prendeva un infuso e restava finché non era il turno di Tom, si perdeva nelle sue parole nuotando negli abissi della psiche come un pesce, si immergeva nelle poesie, il dramma vomitato sul palco ricolmo di sofferenza e odio era per lei puro nutrimento.
E ancora, il solo pensiero era un tormento.
La sua vita, pensare che un tempo aveva amato lei, la poesia e che una delle due altro non fosse che la proiezione della prima, un ombra, la simbiosi.
Quanto si faceva schifo quando ricordava, passava ore intere a farsi schifo e nel frattempo scendeva la notte e il cielo si popolava di stelle, passava altrettante ore a guardarle provando ad odiare anche loro, non ci riusciva mai.
Ma quella notte mentre Tom scrutava il blu, qualcosa nell'ordinato sistema solare si smosse portandosi dietro una luminosa scia morente, cadendo nel vuoto più assoluto fino a sparire per sempre. Per quanto impassibile e addestrato a trattenere i ricordi, Tom precipitò nel baratro, lasciandosi cullare dall'unica cosa dolce che ancora riusciva ad assaporare, ciò che fu di Sara anche se questo l'avrebbe portato ad una terribile disperazione postuma, avendo calcolato che dopo le sue rimembranze nulla sarebbe stato più confortante.
La sua pelle profumava di mare e questo lo faceva viaggiare senza muoversi dal tavolo, avrebbe riconosciuto quel profumo tra mille al mondo, il suono gutturale che faceva spontaneamente quando beveva il thé a grandi sorsi mentre si lasciava trasportare dalle poesie.
La sua vita, pensare che un tempo aveva amato lei, la poesia e che una delle due altro non fosse che la proiezione della prima, un ombra, la simbiosi.
Quanto si faceva schifo quando ricordava, passava ore intere a farsi schifo e nel frattempo scendeva la notte e il cielo si popolava di stelle, passava altrettante ore a guardarle provando ad odiare anche loro, non ci riusciva mai.
Ma quella notte mentre Tom scrutava il blu, qualcosa nell'ordinato sistema solare si smosse portandosi dietro una luminosa scia morente, cadendo nel vuoto più assoluto fino a sparire per sempre. Per quanto impassibile e addestrato a trattenere i ricordi, Tom precipitò nel baratro, lasciandosi cullare dall'unica cosa dolce che ancora riusciva ad assaporare, ciò che fu di Sara anche se questo l'avrebbe portato ad una terribile disperazione postuma, avendo calcolato che dopo le sue rimembranze nulla sarebbe stato più confortante.
La sua pelle profumava di mare e questo lo faceva viaggiare senza muoversi dal tavolo, avrebbe riconosciuto quel profumo tra mille al mondo, il suono gutturale che faceva spontaneamente quando beveva il thé a grandi sorsi mentre si lasciava trasportare dalle poesie.
Tom non ripercorse i ricordi in maniera ordinata era un uragano di sentimenti senza senso logico, persi nello spaziotempo, era sangue e subito dopo sesso, come se fossero stati nella più bella spiaggia mai visitata senza lasciare Praga, era il brivido fresco sulla schiena che ti fa intirizzire la pelle e allo stesso tempo il fiato caldo sul collo. Lei era tutto e questo faceva di lui il compagno del tutto, a portata di mano c'era la bellezza che aveva sempre cercato e se pure cosi distante e impalpabile, riusciva a sentirla come l'umidità che preannuncia la pioggia.
Scorreva nelle sue vene l'ultima immagine di Sara, distesa inerme e priva di vita, uccisa da quel male che portava il suo stesso nome. Perché aveva deciso di togliersi la vita? Questo Tom non lo capiva, per quanto i suoi tentativi di salvarla fossero stati tempestivi non era riuscito a fermare il fiume di sangue che sgorgava dai polsi e l'aveva vista spegnersi come quella stella lontana immersa nel cielo più profondo.
Come avrebbe potuto sopportare tutto questo? Era la domanda più logica eppure fino a quel momento non se l'era mai posta.
Scorreva nelle sue vene l'ultima immagine di Sara, distesa inerme e priva di vita, uccisa da quel male che portava il suo stesso nome. Perché aveva deciso di togliersi la vita? Questo Tom non lo capiva, per quanto i suoi tentativi di salvarla fossero stati tempestivi non era riuscito a fermare il fiume di sangue che sgorgava dai polsi e l'aveva vista spegnersi come quella stella lontana immersa nel cielo più profondo.
Come avrebbe potuto sopportare tutto questo? Era la domanda più logica eppure fino a quel momento non se l'era mai posta.
Sarebbe mai riuscito a cancellare l'immagine indelebile degli occhi della sua amata, che da vitrei si trasformavano in fioche luci opache, mentre con tutta la forza che aveva in corpo, premeva i polsi candidi per evitare che il sangue fuori uscisse a fiotti di lunga gettata.
Aveva fallito miseramente, il suo desiderio di rimediare alla morte in quel momento fu il più forte sentimento mai provato e si sarebbe strappato via il cuore dal petto pur di farla vivere ma non era servito a nulla. Lei era andata via per sempre, traghettata da Caronte nelle tenebre per non fare più ritorno alla luce.
Ora che si era svegliato da quel sogno terribilmente meraviglioso, sapeva che nient'altro nella sua inutile esistenza sarebbe stato confortante e improvvisamente provò una sensazione che credeva di aver dimenticato, la sofferenza, il dramma cosmico che un tempo lo accompagnava nei suoi spettacoli, la fame quella che non provava da anni, la sete che gli asciugò la gola facendogli seccare le labbra con frastagliate screpolature.
Tom non decise cosa era meglio per lui, non si interrogò nemmeno su quanto stava già mettendo in atto, si limitò ad estrarre la lama e recidere il ventre, sperando di onorare come un samurai l'ultima immagine di se per fa fronte alla vergogna che lo divorava dentro.
Era il tredicesimo giorno del settimo mese quando si squarciò le membra addominali con un unico colpo di daga, trasportato da tutti quegli orribili sentimenti repressi nel corso degli anni, lo stomaco devastato dal colpo rigurgitò le viscere sul pavimento marmoreo, come una pentolaccia presa a bastonate che lascia cadere le delizie al suolo, ma quelle non erano delizie erano solo le budella di Tom, ora che aveva onorato se stesso e il ricordo di Sara, l'unica altra cosa che spontaneamente fece, fu raccogliere i suoi resti, portandoli alla bocca per nutrirsi della cordula purpurea che un tempo faceva parte di lui.
Tom non decise cosa era meglio per lui, non si interrogò nemmeno su quanto stava già mettendo in atto, si limitò ad estrarre la lama e recidere il ventre, sperando di onorare come un samurai l'ultima immagine di se per fa fronte alla vergogna che lo divorava dentro.
Era il tredicesimo giorno del settimo mese quando si squarciò le membra addominali con un unico colpo di daga, trasportato da tutti quegli orribili sentimenti repressi nel corso degli anni, lo stomaco devastato dal colpo rigurgitò le viscere sul pavimento marmoreo, come una pentolaccia presa a bastonate che lascia cadere le delizie al suolo, ma quelle non erano delizie erano solo le budella di Tom, ora che aveva onorato se stesso e il ricordo di Sara, l'unica altra cosa che spontaneamente fece, fu raccogliere i suoi resti, portandoli alla bocca per nutrirsi della cordula purpurea che un tempo faceva parte di lui.
"Fa un po' male"
Non riuscì a dire altro mentre piegato sulle ginocchia si accasciava lentamente, quanto mai sorpreso nell'appurare che riusciva ancora a provare una sensazione fisica.
Fagocitava le sue stesse interiora come un cane affamato, ingoiava la carne dilaniandone i nervi con i denti, affondò le dita più e più volte nella cruda matrice che potava dentro la pancia, non volendo disperderne neanche un pezzetto si affogò nel suo stesso sangue, svenendo nel caldo liquido che lo aveva tenuto vigile sul mondo.
Quel mondo che tanto odiava ma al contempo gli aveva regalato Sara, quel mondo che disprezzava ma lo aveva accolto tra le sue braccia, la notte come rifugio da tutto il suo malessere, le stelle su Praga non erano mai state così luminose era tutto poesia intorno a lui, quell'amore perso anni fà, prima di cedere al nichilismo che era stata la soluzione più semplice per evitare le delusioni dell'esistenza umana.
Fu solo in quel momento, poco prima di lasciare la mano della vita materna, che finalmente Tom si sentì felice e in pace.
Avvolto dalle tenebre nel cupo mantello del lutto, la morte lo prese tra le sue braccia stringendolo come premurosa balia stringe un innocente, baciato per l'ultima volta dall'unica Dea che avesse mai rispettato e temuto, dolce mietitrice di anime, così severa eppure così giusta.
Elena 13/07/2016
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